“Un amore di Laga”
Sono molti anni che, in ogni stagione, frequento i Monti della Laga e, praticamente, conosco ogni angolo di questo “piccolo” paradiso situato al Centro Italia.
Eppure, ogni volta che mi ritrovo a percorrerne i sentieri che s’immergono negli stupendi boschi, scrigno naturale colmo di torrenti e cascate d’incomparabile bellezza, è come se fosse la prima volta.
Come una bella donna la Laga cambia spesso “trucco” ed ogni volta si propone in maniera diversa a chi va a farle visita.
In primavera pendii erbosi tappezzati di orchidee, narcisi, garofani, gigli e chi più ne ha più ne metta; faggi che in autunno, sullo sfondo di cieli azzurri e vette imbiancate dalle prime nevi, sfoggiano una varietà di colori da far invidia alla tavolozza di un pittore; fiabesche formazioni di ghiaccio, figlie effimere degli inverni più rigidi; l’acqua che, intrigante e gioiosa, fa bella mostra di se in ogni piega della montagna ed, infine, un appagante senso d’isolamento a volte piacevolmente interrotto dall’incontro con qualche pastore con cui poter parlare serenamente.
Sono queste e molte altre ancora le armi che “donna Laga” utilizza per sedurre i suoi frequentatori. Non c’è via di scampo, di fronte a tanta bellezza non ci si può non innamorare.
Della Laga però non ci s’innamora mai “a prima vista”.
I suoi percorsi sempre lunghi, i dislivelli mai banali ed i sentieri spesso inesistenti, poco si prestano a gite in giornata e richiedono quindi qualche sacrificio in più all’escursionista.
I più, dopo i facili entusiasmi iniziali, rinunciano e rivolgono il loro interesse a montagne meno impegnative. Gli altri, quelli che continueranno caparbiamente a sobbarcarsi ore ed ore di marcia, con pesanti zaini sulle spalle, addentrandosi in ogni angolo, anche il più remoto, saranno quelli che della Laga s’innamoreranno perdutamente e che ogni anno e in ogni stagione non potranno fare a meno di tornare a “lei”.
Io, sono uno di quelli.
Siamo alla fine di Maggio, periodo in cui la Laga esprime il meglio di sé ed io puntualmente, questa volta in veste di accompagnatore, sono di nuovo qui insieme ad una dozzina di soci per un trekking di due giorni organizzato nell’ambito di un Corso di Escursionismo.
E’ sabato mattina ed Il sole è già alto.
Partiti da Umito, da circa mezz’ora stiamo risalendo la Valle Della Corte. Piccoli cespugli di Aquilegia, con il loro colore lillà, rallegrano già i bordi del ruscello. Ad un tornante abbandoniamo la sterrata e cominciamo a risalire un sentiero che, in breve, ci porterà alla Cascata Delle Prata, una delle più belle tra le tante presenti su queste montagne.
Man mano che saliamo il rumore dell’acqua diventa sempre più forte. La cascata non si vede ancora, ma squarci nel verde dei faggi lasciano intravedere quanto basta ad accendere la fantasia e a far intuire, fin troppo bene, quale “segreto” stia per essere svelato.
Poi, inaspettatamente, il sentiero finisce, le quinte di faggi si aprono completamente e la cascata, finalmente, si mostra in tutta la sua bellezza.
Le aspettative non sono deluse, davanti a noi c’è un gioiello argenteo incastonato nel verde. Un’imponente “scalinata” di arenaria dalla quale scende maestosamente la “diva” acqua e tutt’intorno, quasi a volerla nascondere gelosamente ad occhi indiscreti, una fitta schiera di faggi.
L’effetto scenografico è di quelli che non si dimenticano.
Dopo una buona sosta, a malincuore, lasciamo questo posto incantevole, abbiamo molta strada da percorrere ancora ed altre sorprese ci attendono. Scendiamo fino a riprendere la sterrata e su questa, che poco dopo diventa sentiero, continuiamo a risalire la valle.
Il percorso, snodandosi sulla destra orografica del Rio Volpara, supera una serie di fossi secondari dove l’acqua, sempre presente, forma allegre cascatelle.
Di tanto in tanto si attraversano radure, un tempo adibite a piazzole per le “carbonaie” e più avanti, in bella posizione panoramica verso le Cascate Della Volpara, c’è addirittura un forno, ben conservato, ricavato sfruttando una cavità naturale nell’arenaria.
E’ affascinante immaginare che questi luoghi, oggi frequentati per lo più da escursionisti, fossero popolati in passato da uomini intenti ad accatastare legname per le carbonaie o da donne affaccendate a cuocere il pane in forni come questo.
Continuando, il sentiero costeggia un tratto dove il torrente forma una serie di “toboga” naturali. Qui qualche anno fa, durante un lungo trekking di due giorni sotto il sole di Luglio, ci siamo divertiti da matti a scivolare nell’acqua in mutande. Le più “ammirate” erano quelle di Giuditta e Marina, uniche donne presenti nel gruppo.
Sul posto c’erano anche due o tre famiglie. Le madri, che prima del nostro arrivo erano riuscite in qualche modo a impedire che i figli entrassero in acqua, dopo le nostre esibizioni non hanno potuto fare a meno di accordare loro il permesso.
Ricordo ancora l’espressione di gioia di quei bambini mentre, anche loro in mutande, ci contendevano il diritto a scivolare nell’acqua.
Sorrido al pensiero, e intanto osservo il comportamento dei partecipanti a questa escursione.
Popolo variegato quello dei frequentatori degli ambienti C.A.I., ce né di tutti i tipi. C’è chi si sente solo e cerca nuove amicizie, chi ha spirito competitivo e partecipa più che altro per confrontarsi con gli altri, chi vuole vivere esperienze nuove e non sa ancora bene quali ed infine persone che amano veramente la montagna e le bellezze naturali in genere. Quest’ultimi sono in ogni caso una minoranza.
La maggior parte dei partecipanti, infatti, dimostra scarso interesse per ciò che li circonda o comunque lo apprezzano in maniera superficiale e magari, se qualcuno domani gli chiederà: “dove sei stato ieri”, sapranno rispondere a malapena: “in un bel posto, in montagna”. Contenti loro!
Mi sorprendo spesso a fare queste riflessioni quando accompagno gruppi numerosi.
Amo la natura e la montagna in particolare e mi piace anche il poter offrire, a persone meno capaci, la possibilità di vedere ambienti stupendi a loro sconosciuti. Lo faccio volentieri anche se non sempre la cosa è apprezzata nella giusta misura.
Ma quando voglio godere pienamente una giornata in montagna, preferisco farlo in compagnia di pochi amici intimi o, all’occorrenza, da solo.
Il rumore dell’acqua mi richiama alla realtà, siamo ormai arrivati al secondo salto delle Cascate della Volpara, il più bello dei tre.
Scendiamo brevemente il sentierino che entra nel fosso e ci fermiamo alla base della cascata. Qui l’acqua, quasi fosse un increspato velo bianco, scorre su un salto di rossa arenaria.
Ci sistemiamo, qua e là, tra ciottoli e farfaracci e, tranquillamente, consumiamo il nostro frugale pranzo. L’ambiente è rilassante, verrebbe voglia di starsene qui per ore a godere il sole cullati dallo scorrere dell’acqua. Ma non possiamo, è già pomeriggio e prima che venga sera dobbiamo raggiungere il posto dove montare le tende per la notte.
Riprendiamo a camminare che sono già le tre. Ci lasciamo sulla destra il Rio Volpara e cominciamo a traversare nel bosco in direzione di Colle Veticchiaro.
In questo tratto il sentiero è praticamente inesistente ma, almeno per me, il procedere affidandomi al solo senso di orientamento è decisamente più gratificante che seguire delle indicazioni predefinite. In un tratto del bosco c’è legna accatastata pronta per essere portata a valle.
Dopo circa un’ora, arriviamo a Colle Veticchiaro.
Da qui la Valle della Corte si offre allo sguardo come un immenso oceano di verde solcato dalle cascate della Volpara che, come un lungo nastro d’argento, sembrano quasi “nascere” dalla vetta della Macera Della Morte.
In genere si è abituati a pensare che le sorgenti si trovino prevalentemente a valle della montagna ma qui è tutto diverso. L’arenaria, di cui è composto questo gruppo montuoso, fa si che l’acqua scorra sempre in superficie e quindi la si trova praticamente ovunque. Tutto questo è importantissimo quando si decide di fare un giro di più giorni. (A volte per esempio, in piena estate sulla Maiella, dove non ci sono molte sorgenti in quota, ho dovuto portare nello zaino fino a sette litri d’acqua!).
Sulla Laga non c’è mai questa necessità, l’acqua è sul posto e tutto diventa più godibile, ci si può permettere anche di fare la doccia sotto una cascata.
Continuiamo la nostra marcia lungo la sterrata che sale da Umito.
Qua e là orchidee rosa si pavoneggiano in mezzo al verde “nuovo” che la primavera stà risvegliando. Qualche farfalla volteggia spensierata nell’aria già mite.
Di tanto in tanto una leggera brezza porta alle narici il profumo intenso del Timo mentre, in lontananza, echeggia il canto ripetitivo di due Cuculi, ......che pace!
E’ ormai tardo pomeriggio quando raggiungiamo il “Maularo”, (nel dialetto locale “maularo” significa in sostanza “zona di mirtilli” e qui, in genere nei primi giorni di Luglio, se ne trovano veramente tanti).
Sfruttando le piccole radure pianeggianti, montiamo le tende. E’ l’ultima fatica di questa giornata.
Mentre ci accingiamo a mangiare qualcosa, il sole và già scomparendo dietro le creste ed il cielo va colorandosi progressivamente con tonalità che vanno dal rosa tenue al rosso fucsia. Una manciata di nuvole sfilacciate assorbe avida questi colori e rimane a lungo a drappeggiare l’orizzonte.
Più tardi il buio della notte spegne tutti i colori, ma se si alza lo sguardo al cielo si rimane senza fiato.
Tutte le stelle del firmamento sono li, luminosissime, davanti ai nostri occhi. Si distingue perfettamente anche la Via Lattea. Solo in posti come questi, lontani dalle luci delle città, si possono vedere cosi tante stelle.
Rimaniamo a lungo all’aperto, a parlare e godere di questo spettacolo. Di tanto in tanto, dal bosco, un gufo fa sentire la sua “voce”.
Quando l’umidità ed il freddo pungente cominciano a farsi sentire ognuno si ritira a dormire nella sua tenda.
Ai primi chiarori dell’alba sono già in piedi.
Adoro questi momenti del mattino, c’è come un’atmosfera magica nell’aria. Sembra quasi che ogni cosa vivente si conceda una pausa di riflessione, è come se si fosse in attesa di qualcosa. Soltanto l’acqua, nei ruscelli, non si concede mai una tregua.
Poi, man mano che il sole comincia a riconquistare i suoi spazi, la natura sembra scuotersi dal torpore della notte e tutto torna ad animarsi. Un uccellino, timidamente, fa sentire il suo cinguettio. Altri prendono coraggio e, ben presto, il suo “assolo” diventa un chiassoso, allegro concerto. Un altro giorno è iniziato!
Uno dopo l’altro, i miei compagni escono dalle tende. Qualcuno accende un fornello e poco dopo l’aria è invasa dal profumo di caffè.
E’ divertente e oltremodo piacevole questo momento. Quando andiamo in montagna, specialmente per più giorni, ci lamentiamo spesso del peso da portare sulle spalle, ma al momento di fare colazione si capisce anche buona parte del motivo di quel peso.
Sull’erba c’è di tutto: fornelli, pentolini, tazze, tisane e biscotti di tutti i tipi, cioccolata, marmellata, miele. E’ veramente incredibile!
Dopo aver fatto onore a tutto questo ben di Dio, smontiamo il campo e ci accingiamo a ripartire. L’aria è ancora frizzantina ma ben presto ci si scalda camminando.
In poco meno di un’ora usciamo fuori dal bosco e ci portiamo sulla cresta Est della Macera Della Morte. In tarda mattinata ne raggiungiamo la vetta. -Da qui lo sguardo spazia verso il Lago di Campotosto, la Valle della Corte e il Pizzo di Sevo.
Rimaniamo un paio di ore a goderci il tepore del sole poi iniziamo la lunga discesa che ci riporterà fino ad Umito, dove abbiamo lasciato le automobili.
Il percorso, tutto su sterrata, non richiede l’attenzione continua a dove mettere i piedi e ci consente quindi di camminare godendoci l’ambiente che ci circonda. -A volte l’occhio può spaziare su creste e vette, altre volte giù nella valle. Sempre presente il verde, interrotto qua e là da orchidee e aquilegie.
Il rumore di fondo dell’acqua che scorre nei torrenti e le fronde degli alberi mosse dal vento, sono la colonna sonora di questo nostro procedere verso valle.
Alla fine attraversiamo un bellissimo castagneto. Le piante secolari lasciano filtrare qua e là i raggi del sole e, tra gli squarci nei rami, cominciano ad apparire i vecchi tetti di Umito.
Siamo arrivati!
Il locale fontanile ci consente una buona rinfrescata poi, a malincuore, sistemiamo gli zaini in macchina e ci prepariamo al ritorno.
Ci aspettano tre ore di viaggio per tornare a casa.
Stiamo andando via, stiamo lasciando questo paradiso ma, come in tutti gli amori, il pensiero già corre “alla prossima volta” e lei, “donna Laga”, sarà ancora li ad aspettarci, ....più bella che mai!
G. C.
Sono molti anni che, in ogni stagione, frequento i Monti della Laga e, praticamente, conosco ogni angolo di questo “piccolo” paradiso situato al Centro Italia.
Eppure, ogni volta che mi ritrovo a percorrerne i sentieri che s’immergono negli stupendi boschi, scrigno naturale colmo di torrenti e cascate d’incomparabile bellezza, è come se fosse la prima volta.
Come una bella donna la Laga cambia spesso “trucco” ed ogni volta si propone in maniera diversa a chi va a farle visita.
In primavera pendii erbosi tappezzati di orchidee, narcisi, garofani, gigli e chi più ne ha più ne metta; faggi che in autunno, sullo sfondo di cieli azzurri e vette imbiancate dalle prime nevi, sfoggiano una varietà di colori da far invidia alla tavolozza di un pittore; fiabesche formazioni di ghiaccio, figlie effimere degli inverni più rigidi; l’acqua che, intrigante e gioiosa, fa bella mostra di se in ogni piega della montagna ed, infine, un appagante senso d’isolamento a volte piacevolmente interrotto dall’incontro con qualche pastore con cui poter parlare serenamente.
Sono queste e molte altre ancora le armi che “donna Laga” utilizza per sedurre i suoi frequentatori. Non c’è via di scampo, di fronte a tanta bellezza non ci si può non innamorare.
Della Laga però non ci s’innamora mai “a prima vista”.
I suoi percorsi sempre lunghi, i dislivelli mai banali ed i sentieri spesso inesistenti, poco si prestano a gite in giornata e richiedono quindi qualche sacrificio in più all’escursionista.
I più, dopo i facili entusiasmi iniziali, rinunciano e rivolgono il loro interesse a montagne meno impegnative. Gli altri, quelli che continueranno caparbiamente a sobbarcarsi ore ed ore di marcia, con pesanti zaini sulle spalle, addentrandosi in ogni angolo, anche il più remoto, saranno quelli che della Laga s’innamoreranno perdutamente e che ogni anno e in ogni stagione non potranno fare a meno di tornare a “lei”.
Io, sono uno di quelli.
Siamo alla fine di Maggio, periodo in cui la Laga esprime il meglio di sé ed io puntualmente, questa volta in veste di accompagnatore, sono di nuovo qui insieme ad una dozzina di soci per un trekking di due giorni organizzato nell’ambito di un Corso di Escursionismo.
E’ sabato mattina ed Il sole è già alto.
Partiti da Umito, da circa mezz’ora stiamo risalendo la Valle Della Corte. Piccoli cespugli di Aquilegia, con il loro colore lillà, rallegrano già i bordi del ruscello. Ad un tornante abbandoniamo la sterrata e cominciamo a risalire un sentiero che, in breve, ci porterà alla Cascata Delle Prata, una delle più belle tra le tante presenti su queste montagne.
Man mano che saliamo il rumore dell’acqua diventa sempre più forte. La cascata non si vede ancora, ma squarci nel verde dei faggi lasciano intravedere quanto basta ad accendere la fantasia e a far intuire, fin troppo bene, quale “segreto” stia per essere svelato.
Poi, inaspettatamente, il sentiero finisce, le quinte di faggi si aprono completamente e la cascata, finalmente, si mostra in tutta la sua bellezza.
Le aspettative non sono deluse, davanti a noi c’è un gioiello argenteo incastonato nel verde. Un’imponente “scalinata” di arenaria dalla quale scende maestosamente la “diva” acqua e tutt’intorno, quasi a volerla nascondere gelosamente ad occhi indiscreti, una fitta schiera di faggi.
L’effetto scenografico è di quelli che non si dimenticano.
Dopo una buona sosta, a malincuore, lasciamo questo posto incantevole, abbiamo molta strada da percorrere ancora ed altre sorprese ci attendono. Scendiamo fino a riprendere la sterrata e su questa, che poco dopo diventa sentiero, continuiamo a risalire la valle.
Il percorso, snodandosi sulla destra orografica del Rio Volpara, supera una serie di fossi secondari dove l’acqua, sempre presente, forma allegre cascatelle.
Di tanto in tanto si attraversano radure, un tempo adibite a piazzole per le “carbonaie” e più avanti, in bella posizione panoramica verso le Cascate Della Volpara, c’è addirittura un forno, ben conservato, ricavato sfruttando una cavità naturale nell’arenaria.
E’ affascinante immaginare che questi luoghi, oggi frequentati per lo più da escursionisti, fossero popolati in passato da uomini intenti ad accatastare legname per le carbonaie o da donne affaccendate a cuocere il pane in forni come questo.
Continuando, il sentiero costeggia un tratto dove il torrente forma una serie di “toboga” naturali. Qui qualche anno fa, durante un lungo trekking di due giorni sotto il sole di Luglio, ci siamo divertiti da matti a scivolare nell’acqua in mutande. Le più “ammirate” erano quelle di Giuditta e Marina, uniche donne presenti nel gruppo.
Sul posto c’erano anche due o tre famiglie. Le madri, che prima del nostro arrivo erano riuscite in qualche modo a impedire che i figli entrassero in acqua, dopo le nostre esibizioni non hanno potuto fare a meno di accordare loro il permesso.
Ricordo ancora l’espressione di gioia di quei bambini mentre, anche loro in mutande, ci contendevano il diritto a scivolare nell’acqua.
Sorrido al pensiero, e intanto osservo il comportamento dei partecipanti a questa escursione.
Popolo variegato quello dei frequentatori degli ambienti C.A.I., ce né di tutti i tipi. C’è chi si sente solo e cerca nuove amicizie, chi ha spirito competitivo e partecipa più che altro per confrontarsi con gli altri, chi vuole vivere esperienze nuove e non sa ancora bene quali ed infine persone che amano veramente la montagna e le bellezze naturali in genere. Quest’ultimi sono in ogni caso una minoranza.
La maggior parte dei partecipanti, infatti, dimostra scarso interesse per ciò che li circonda o comunque lo apprezzano in maniera superficiale e magari, se qualcuno domani gli chiederà: “dove sei stato ieri”, sapranno rispondere a malapena: “in un bel posto, in montagna”. Contenti loro!
Mi sorprendo spesso a fare queste riflessioni quando accompagno gruppi numerosi.
Amo la natura e la montagna in particolare e mi piace anche il poter offrire, a persone meno capaci, la possibilità di vedere ambienti stupendi a loro sconosciuti. Lo faccio volentieri anche se non sempre la cosa è apprezzata nella giusta misura.
Ma quando voglio godere pienamente una giornata in montagna, preferisco farlo in compagnia di pochi amici intimi o, all’occorrenza, da solo.
Il rumore dell’acqua mi richiama alla realtà, siamo ormai arrivati al secondo salto delle Cascate della Volpara, il più bello dei tre.
Scendiamo brevemente il sentierino che entra nel fosso e ci fermiamo alla base della cascata. Qui l’acqua, quasi fosse un increspato velo bianco, scorre su un salto di rossa arenaria.
Ci sistemiamo, qua e là, tra ciottoli e farfaracci e, tranquillamente, consumiamo il nostro frugale pranzo. L’ambiente è rilassante, verrebbe voglia di starsene qui per ore a godere il sole cullati dallo scorrere dell’acqua. Ma non possiamo, è già pomeriggio e prima che venga sera dobbiamo raggiungere il posto dove montare le tende per la notte.
Riprendiamo a camminare che sono già le tre. Ci lasciamo sulla destra il Rio Volpara e cominciamo a traversare nel bosco in direzione di Colle Veticchiaro.
In questo tratto il sentiero è praticamente inesistente ma, almeno per me, il procedere affidandomi al solo senso di orientamento è decisamente più gratificante che seguire delle indicazioni predefinite. In un tratto del bosco c’è legna accatastata pronta per essere portata a valle.
Dopo circa un’ora, arriviamo a Colle Veticchiaro.
Da qui la Valle della Corte si offre allo sguardo come un immenso oceano di verde solcato dalle cascate della Volpara che, come un lungo nastro d’argento, sembrano quasi “nascere” dalla vetta della Macera Della Morte.
In genere si è abituati a pensare che le sorgenti si trovino prevalentemente a valle della montagna ma qui è tutto diverso. L’arenaria, di cui è composto questo gruppo montuoso, fa si che l’acqua scorra sempre in superficie e quindi la si trova praticamente ovunque. Tutto questo è importantissimo quando si decide di fare un giro di più giorni. (A volte per esempio, in piena estate sulla Maiella, dove non ci sono molte sorgenti in quota, ho dovuto portare nello zaino fino a sette litri d’acqua!).
Sulla Laga non c’è mai questa necessità, l’acqua è sul posto e tutto diventa più godibile, ci si può permettere anche di fare la doccia sotto una cascata.
Continuiamo la nostra marcia lungo la sterrata che sale da Umito.
Qua e là orchidee rosa si pavoneggiano in mezzo al verde “nuovo” che la primavera stà risvegliando. Qualche farfalla volteggia spensierata nell’aria già mite.
Di tanto in tanto una leggera brezza porta alle narici il profumo intenso del Timo mentre, in lontananza, echeggia il canto ripetitivo di due Cuculi, ......che pace!
E’ ormai tardo pomeriggio quando raggiungiamo il “Maularo”, (nel dialetto locale “maularo” significa in sostanza “zona di mirtilli” e qui, in genere nei primi giorni di Luglio, se ne trovano veramente tanti).
Sfruttando le piccole radure pianeggianti, montiamo le tende. E’ l’ultima fatica di questa giornata.
Mentre ci accingiamo a mangiare qualcosa, il sole và già scomparendo dietro le creste ed il cielo va colorandosi progressivamente con tonalità che vanno dal rosa tenue al rosso fucsia. Una manciata di nuvole sfilacciate assorbe avida questi colori e rimane a lungo a drappeggiare l’orizzonte.
Più tardi il buio della notte spegne tutti i colori, ma se si alza lo sguardo al cielo si rimane senza fiato.
Tutte le stelle del firmamento sono li, luminosissime, davanti ai nostri occhi. Si distingue perfettamente anche la Via Lattea. Solo in posti come questi, lontani dalle luci delle città, si possono vedere cosi tante stelle.
Rimaniamo a lungo all’aperto, a parlare e godere di questo spettacolo. Di tanto in tanto, dal bosco, un gufo fa sentire la sua “voce”.
Quando l’umidità ed il freddo pungente cominciano a farsi sentire ognuno si ritira a dormire nella sua tenda.
Ai primi chiarori dell’alba sono già in piedi.
Adoro questi momenti del mattino, c’è come un’atmosfera magica nell’aria. Sembra quasi che ogni cosa vivente si conceda una pausa di riflessione, è come se si fosse in attesa di qualcosa. Soltanto l’acqua, nei ruscelli, non si concede mai una tregua.
Poi, man mano che il sole comincia a riconquistare i suoi spazi, la natura sembra scuotersi dal torpore della notte e tutto torna ad animarsi. Un uccellino, timidamente, fa sentire il suo cinguettio. Altri prendono coraggio e, ben presto, il suo “assolo” diventa un chiassoso, allegro concerto. Un altro giorno è iniziato!
Uno dopo l’altro, i miei compagni escono dalle tende. Qualcuno accende un fornello e poco dopo l’aria è invasa dal profumo di caffè.
E’ divertente e oltremodo piacevole questo momento. Quando andiamo in montagna, specialmente per più giorni, ci lamentiamo spesso del peso da portare sulle spalle, ma al momento di fare colazione si capisce anche buona parte del motivo di quel peso.
Sull’erba c’è di tutto: fornelli, pentolini, tazze, tisane e biscotti di tutti i tipi, cioccolata, marmellata, miele. E’ veramente incredibile!
Dopo aver fatto onore a tutto questo ben di Dio, smontiamo il campo e ci accingiamo a ripartire. L’aria è ancora frizzantina ma ben presto ci si scalda camminando.
In poco meno di un’ora usciamo fuori dal bosco e ci portiamo sulla cresta Est della Macera Della Morte. In tarda mattinata ne raggiungiamo la vetta. -Da qui lo sguardo spazia verso il Lago di Campotosto, la Valle della Corte e il Pizzo di Sevo.
Rimaniamo un paio di ore a goderci il tepore del sole poi iniziamo la lunga discesa che ci riporterà fino ad Umito, dove abbiamo lasciato le automobili.
Il percorso, tutto su sterrata, non richiede l’attenzione continua a dove mettere i piedi e ci consente quindi di camminare godendoci l’ambiente che ci circonda. -A volte l’occhio può spaziare su creste e vette, altre volte giù nella valle. Sempre presente il verde, interrotto qua e là da orchidee e aquilegie.
Il rumore di fondo dell’acqua che scorre nei torrenti e le fronde degli alberi mosse dal vento, sono la colonna sonora di questo nostro procedere verso valle.
Alla fine attraversiamo un bellissimo castagneto. Le piante secolari lasciano filtrare qua e là i raggi del sole e, tra gli squarci nei rami, cominciano ad apparire i vecchi tetti di Umito.
Siamo arrivati!
Il locale fontanile ci consente una buona rinfrescata poi, a malincuore, sistemiamo gli zaini in macchina e ci prepariamo al ritorno.
Ci aspettano tre ore di viaggio per tornare a casa.
Stiamo andando via, stiamo lasciando questo paradiso ma, come in tutti gli amori, il pensiero già corre “alla prossima volta” e lei, “donna Laga”, sarà ancora li ad aspettarci, ....più bella che mai!
G. C.
Tutti i testi sono coperti da copyright © Giulio Coltrè
e non possono essere utilizzati in alcuna forma senza il consenso specifico dell'autore.
e non possono essere utilizzati in alcuna forma senza il consenso specifico dell'autore.